Enciclica: Fratelli tutti

 Capitolo quinto – La migliore politica

154. Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a
partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al
servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che
ostacolano il cammino verso un mondo diverso.

Populismi e liberalismi

155. Il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente
per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti. In entrambi i casi
si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i
più deboli e rispetti le diverse culture.

Popolare o populista

156. Negli ultimi anni l’espressione “populismo” o “populista” ha invaso i mezzi di comunicazione
e il linguaggio in generale. Così essa perde il valore che potrebbe possedere e diventa una delle
polarità della società divisa. Ciò è arrivato al punto di pretendere di classificare tutte le persone, i
gruppi, le società e i governi a partire da una divisione binaria: “populista” o “non populista”. Ormai
non è possibile che qualcuno si esprima su qualsiasi tema senza che tentino di classificarlo in uno di
questi due poli, o per screditarlo ingiustamente o per esaltarlo in maniera esagerata.

157. La pretesa di porre il populismo come chiave di lettura della realtà sociale contiene un altro
punto debole: il fatto che ignora la legittimità della nozione di popolo. Il tentativo di far sparire dal
linguaggio tale categoria potrebbe portare a eliminare la parola stessa “democrazia” (“governo del
popolo”). Ciò nonostante, per affermare che la società è più della mera somma degli individui, è
necessario il termine “popolo”. La realtà è che ci sono fenomeni sociali che strutturano le
maggioranze, ci sono mega-tendenze e aspirazioni comunitarie; inoltre, si può pensare a obiettivi
comuni, al di là delle differenze, per attuare insieme un progetto condiviso; infine, è molto difficile
progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo. Tutto
ciò trova espressione nel sostantivo “popolo” e nell’aggettivo “popolare”. Se non li si includesse –
insieme ad una solida critica della demagogia – si rinuncerebbe a un aspetto fondamentale della realtà
sociale.

158. Esiste infatti un malinteso. «Popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la
intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono, o nel senso che il popolo sia una
categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica […] Quando spieghi che cos’è un popolo usi
categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso
dell’appartenenza al popolo. La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in
maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e
culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto
comune».

159. Ci sono leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e
le grandi tendenze di una società. Il servizio che prestano, aggregando e guidando, può essere la base
per un progetto duraturo di trasformazione e di crescita, che implica anche la capacità di cedere il
posto ad altri nella ricerca del bene comune. Ma esso degenera in insano populismo quando si muta
nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura
del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della
propria permanenza al potere. Altre volte mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni
più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione. Ciò si aggrava quando diventa, in forme
grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità.

160. I gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è
un vero popolo. Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro
è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo
fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione,
ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi.

161. Un’altra espressione degenerata di un’autorità popolare è la ricerca dell’interesse immediato. Si
risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti o appoggio, ma senza progredire in un
impegno arduo e costante che offra alle persone le risorse per il loro sviluppo, per poter sostenere la
vita con i loro sforzi e la loro creatività. In questo senso ho affermato con chiarezza che è «lungi da
me il proporre un populismo irresponsabile».133 Da una parte, il superamento dell’inequità richiede
di sviluppare l’economia, facendo fruttare le potenzialità di ogni regione e assicurando così un’equità
sostenibile.134 Dall’altra, «i piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero
considerare solo come risposte provvisorie».

162. Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo
– è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue
capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso
un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre
un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di
consentire loro una vita degna mediante il lavoro».136 Per quanto cambino i sistemi di produzione, la
politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad
ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, «non esiste
peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro».137 In una società realmente
progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di
guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per
esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo
e, in definitiva, per vivere come popolo.

Valori e limiti delle visioni liberali

163. La categoria di popolo, a cui è intrinseca una valutazione positiva dei legami comunitari e
culturali, è abitualmente rifiutata dalle visioni liberali individualistiche, in cui la società è considerata
una mera somma di interessi che coesistono. Parlano di rispetto per le libertà, ma senza la radice di una narrativa comune. In certi contesti, è frequente l’accusa di populismo verso tutti coloro che
difendono i diritti dei più deboli della società. Per queste visioni, la categoria di popolo è una
mitizzazione di qualcosa che in realtà non esiste. Tuttavia, qui si crea una polarizzazione non
necessaria, poiché né quella di popolo né quella di prossimo sono categorie puramente mitiche o
romantiche, tali da escludere o disprezzare l’organizzazione sociale, la scienza e le istituzioni della
società civile.

164. La carità riunisce entrambe le dimensioni – quella mitica e quella istituzionale – dal momento
che implica un cammino efficace di trasformazione della storia che esige di incorporare tutto: le
istituzioni, il diritto, la tecnica, l’esperienza, gli apporti professionali, l’analisi scientifica, i
procedimenti amministrativi, e così via. Perché «non c’è di fatto vita privata se non è protetta da un
ordine pubblico; un caldo focolare domestico non ha intimità se non sta sotto la tutela della legalità,
di uno stato di tranquillità fondato sulla legge e sulla forza e con la condizione di un minimo di
benessere assicurato dalla divisione del lavoro, dagli scambi commerciali, dalla giustizia sociale e
dalla cittadinanza politica».

165. La vera carità è capace di includere tutto questo nella sua dedizione, e se deve esprimersi
nell’incontro da persona a persona, è anche in grado di giungere a un fratello e a una sorella lontani
e persino ignorati, attraverso le varie risorse che le istituzioni di una società organizzata, libera e
creativa sono capaci di generare. Nel caso specifico, anche il buon samaritano ha avuto bisogno che
ci fosse una locanda che gli permettesse di risolvere quello che lui da solo in quel momento non era
in condizione di assicurare. L’amore al prossimo è realista e non disperde niente che sia necessario
per una trasformazione della storia orientata a beneficio degli ultimi. Per altro verso, a volte si hanno
ideologie di sinistra o dottrine sociali unite ad abitudini individualistiche e procedimenti inefficaci
che arrivano solo a pochi. Nel frattempo, la moltitudine degli abbandonati resta in balia dell’eventuale
buona volontà di alcuni. Ciò dimostra che è necessario far crescere non solo una spiritualità della
fraternità ma nello stesso tempo un’organizzazione mondiale più efficiente, per aiutare a risolvere i
problemi impellenti degli abbandonati che soffrono e muoiono nei Paesi poveri. Ciò a sua volta
implica che non c’è una sola via d’uscita possibile, un’unica metodologia accettabile, una ricetta
economica che possa essere applicata ugualmente per tutti, e presuppone che anche la scienza più
rigorosa possa proporre percorsi differenti.

166. Tutto ciò potrebbe avere ben poca consistenza, se perdiamo la capacità di riconoscere il bisogno
di un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita. È quello che succede quando
la propaganda politica, i media e i costruttori di opinione pubblica insistono nel fomentare una cultura
individualistica e ingenua davanti agli interessi economici senza regole e all’organizzazione delle
società al servizio di quelli che hanno già troppo potere. Perciò, la mia critica al paradigma
tecnocratico non significa che solo cercando di controllare i suoi eccessi potremo stare sicuri, perché
il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in
cui le persone le utilizzano. La questione è la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo,
che fa parte di ciò che la tradizione cristiana chiama “concupiscenza”: l’inclinazione dell’essere
umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini.
Questa concupiscenza non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e
semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti
che il momento storico mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio.

167. L’impegno educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la capacità di pensare la vita umana più
integralmente, la profondità spirituale sono realtà necessarie per dare qualità ai rapporti umani, in modo tale che sia la società stessa a reagire di fronte alle proprie ingiustizie, alle aberrazioni, agli
abusi dei poteri economici, tecnologici, politici e mediatici. Ci sono visioni liberali che ignorano
questo fattore della fragilità umana e immaginano un mondo che risponde a un determinato ordine
capace di per sé stesso di assicurare il futuro e la soluzione di tutti i problemi.

168. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede
neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte
a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica
teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” – senza nominarla – come unica via per risolvere
i problemi sociali. Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è
fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una
politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione
produttiva e la creatività imprenditoriale»,140 perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece
di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a
fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non
può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a
mancare».141 La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica
imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla
pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una
politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro
e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno».

169. In certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche, sembra che non trovino posto, per
esempio, i movimenti popolari che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri
che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti. In realtà, essi danno vita a varie forme di
economia popolare e di produzione comunitaria. Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica
ed economica in modalità tali «che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo
locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento
degli esclusi nella costruzione del destino comune»; al tempo stesso, è bene far sì «che questi
movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta,
confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino».143 Questo, però, senza tradire il loro stile
caratteristico, perché essi sono «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui
convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia».
In questo senso sono “poeti sociali”, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano.
Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare «quell’idea delle
politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e
tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli».145 Benché diano fastidio, benché alcuni
“pensatori” non sappiano come classificarli, bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di
loro «la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va
disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione
del suo destino».

Il potere internazionale

170. Mi permetto di ripetere che «la crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare
una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività
finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a
ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo». Anzi, pare che le effettive
strategie sviluppatesi successivamente nel mondo siano state orientate a maggiore individualismo,
minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni.

171. Vorrei insistere sul fatto che «dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia,
significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a
calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto
del potere – politico, economico, militare, tecnologico e così via – tra una pluralità di soggetti e la
creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza
la limitazione del potere. Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti, e – nello
stesso tempo – ampi settori senza protezione, vittime piuttosto di un cattivo esercizio del potere».

172. Il secolo XXI «assiste a una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la
dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica.
In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed
efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i
governi nazionali e dotate del potere di sanzionare».149 Quando si parla della possibilità di qualche
forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità
personale. Tuttavia, dovrebbe almeno prevedere il dare vita a organizzazioni mondiali più efficaci,
dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria
e la difesa certa dei diritti umani fondamentali.

173. In questa prospettiva, ricordo che è necessaria una riforma «sia dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare
reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni».151 Senza dubbio ciò presuppone limiti giuridici
precisi, per evitare che si tratti di un’autorità cooptata solo da alcuni Paesi e, nello stesso tempo,
impedire imposizioni culturali o la riduzione delle libertà essenziali delle nazioni più deboli a causa
di differenze ideologiche. Infatti, «quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla
sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino
l’indipendenza».152 Ma «il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei
primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della
sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della
fraternità universale. […] Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile
ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite,
vera norma giuridica fondamentale». Occorre evitare che questa Organizzazione sia delegittimata,
perché i suoi problemi e le sue carenze possono essere affrontati e risolti congiuntamente.

174. Ci vogliono coraggio e generosità per stabilire liberamente determinati obiettivi comuni e
assicurare l’adempimento in tutto il mondo di alcune norme essenziali. Perché ciò sia veramente utile,
si deve sostenere «l’esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti (pacta sunt servanda)»,in
modo da evitare «la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del
diritto». Ciò richiede di potenziare «gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle
controversie […] in modo da rafforzarne la portata e l’obbligatorietà».156 Tra tali strumenti normativi
vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati, perché garantiscono meglio degli accordi bilaterali
la cura di un bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli.

175. Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le
debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse,
la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni
gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la
partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo
complementare l’azione dello Stato. Molte volte esse portano avanti sforzi lodevoli pensando al bene
comune e alcuni dei loro membri arrivano a compiere gesti davvero eroici, che mostrano di quanta
bellezza è ancora capace la nostra umanità.

Una carità sociale e politica

176. Per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono
spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. A ciò si aggiungono le strategie che
mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia,
può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e
la pace sociale senza una buona politica?157

La politica di cui c’è bisogno

177. Mi permetto di ribadire che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve
sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia».158 Benché si debba respingere
il cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e l’inefficienza, «non si può
giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado
di governare i vari aspetti della crisi attuale».159 Al contrario, «abbiamo bisogno di una politica che
pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo
interdisciplinare i diversi aspetti della crisi».160 Penso a «una sana politica, capace di riformare le
istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie
viziose».161 Non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere
reale dello Stato.

178. Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che «la
grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e
pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo
dovere in un progetto di Nazione»162 e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e 
futura. Pensare a quelli che verranno non serve ai fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia
autentica, perché, come hanno insegnato i Vescovi del Portogallo, la terra «è un prestito che ogni
generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva».163

179. La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni
veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo
e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più
diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un’economia integrata in un progetto politico, sociale,
culturale e popolare che tenda al bene comune può «aprire la strada a opportunità differenti, che non
implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale
energia in modo nuovo».

L’amore politico

180. Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale
che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci
che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto
della carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per
dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel «campo della più vasta carità,
della carità politica».165 Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la
carità sociale.166 Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che «è una vocazione altissima, è una
delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune».

181. Tutti gli impegni che derivano dalla dottrina sociale della Chiesa «sono attinti alla carità che,
secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40)». Ciò richiede di
riconoscere che «l’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si
manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore».169 Per questa ragione,
l’amore si esprime non solo in relazioni intime e vicine, ma anche nelle «macro-relazioni: rapporti
sociali, economici, politici».

182. Questa carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità
individualistica: «La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di
tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le
unisce».171 Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è
vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. Popolo e persona sono termini correlativi.
Tuttavia, oggi si pretende di ridurre le persone a individui, facilmente dominabili da poteri che mirano
a interessi illeciti. La buona politica cerca vie di costruzione di comunità nei diversi livelli della vita
sociale, in ordine a riequilibrare e riorientare la globalizzazione per evitare i suoi effetti disgreganti.

Amore efficace

183. A partire dall’«amore sociale»172 è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale
tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo
nuovo,173 perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di
sviluppo per tutti. L’amore sociale è una «forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi
del mondo d’oggi e per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali,
ordinamenti giuridici».

184. La carità è al cuore di ogni vita sociale sana e aperta. Tuttavia, oggi «ne viene dichiarata
facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali».175 È molto di più che un
sentimentalismo soggettivo, se essa si accompagna all’impegno per la verità, così da non essere facile
«preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti». Proprio il suo rapporto con la verità favorisce nella carità il suo universalismo e così la preserva dall’essere «relegata in un ambito
ristretto e privato di relazioni».177 Altrimenti, sarà «esclusa dai progetti e dai processi di costruzione
di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività».178 Senza la
verità, l’emotività si vuota di contenuti relazionali e sociali. Perciò l’apertura alla verità protegge la
carità da una falsa fede che resta «priva di respiro umano e universale».

185. La carità ha bisogno della luce della verità che costantemente cerchiamo e «questa luce è, a un
tempo, quella della ragione e della fede», senza relativismi. Ciò implica anche lo sviluppo delle
scienze e il loro apporto insostituibile al fine di trovare i percorsi concreti e più sicuri per raggiungere
i risultati sperati. Infatti, quando è in gioco il bene degli altri, non bastano le buone intenzioni, ma si
tratta di ottenere effettivamente ciò di cui essi e le loro nazioni hanno bisogno per realizzarsi.

L’attività dell’amore politico

186. C’è un cosiddetto amore “elicito”, vale a dire gli atti che procedono direttamente dalla virtù della
carità, diretti a persone e a popoli. C’è poi un amore “imperato”: quegli atti della carità che spingono
a creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali.181 Ne consegue che è «un
atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in
modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria».182 È carità stare vicino a una persona che
soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona,
per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano
ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche
questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di
lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica.

I sacrifici dell’amore

187. Questa carità, cuore dello spirito della politica, è sempre un amore preferenziale per gli ultimi,
che sta dietro ogni azione compiuta in loro favore.183 Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia
trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e
apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto
veramente integrati nella società. Tale sguardo è il nucleo dell’autentico spirito della politica. A
partire da lì, le vie che si aprono sono diverse da quelle di un pragmatismo senz’anima. Per esempio,
«non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che
unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste
vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività».184 Quello che occorre
è che ci siano diversi canali di espressione e di partecipazione sociale. L’educazione è al servizio di
questo cammino, affinché ogni essere umano possa diventare artefice del proprio destino. Qui mostra
il suo valore il principio di sussidiarietà, inseparabile dal principio di solidarietà.

188. Da ciò risulta l’urgenza di trovare una soluzione per tutto quello che attenta contro i diritti umani
fondamentali. I politici sono chiamati a prendersi «cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle
persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un
modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. […]
Significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci
di ungerlo di dignità».185 Così certamente si dà vita a un’attività intensa, perché «tutto dev’essere
fatto per tutelare la condizione e la dignità della persona umana».186 Il politico è un realizzatore, è un
costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio
Paese. Le maggiori preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una caduta
nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al «fenomeno dell’esclusione sociale ed
economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti
umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione,
traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine di
grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi
tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze.
Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi
flagelli».187 Questo si fa sfruttando con intelligenza le grandi risorse dello sviluppo tecnologico.

189. Siamo ancora lontani da una globalizzazione dei diritti umani più essenziali. Perciò la politica
mondiale non può tralasciare di porre tra i suoi obiettivi principali e irrinunciabili quello di eliminare
effettivamente la fame. Infatti, «quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli
alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame.
Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è
criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile».188 Tante volte, mentre ci immergiamo in
discussioni semantiche o ideologiche, lasciamo che ancora oggi ci siano fratelli e sorelle che muoiono
di fame e di sete, senza un tetto o senza accesso alle cure per la loro salute. Insieme a questi bisogni
elementari non soddisfatti, la tratta di persone è un’altra vergogna per l’umanità che la politica internazionale non dovrebbe continuare a tollerare, al di là dei discorsi e delle buone intenzioni. È il minimo indispensabile.

Amore che integra e raduna

190. La carità politica si esprime anche nell’apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di
governare, è chiamato a rinunce che rendano possibile l’incontro, e cerca la convergenza almeno su
alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell’altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio. Con
rinunce e pazienza un governante può favorire la creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un
posto. In questo ambito non funzionano le trattative di tipo economico. È qualcosa di più, è un
interscambio di offerte in favore del bene comune. Sembra un’utopia ingenua, ma non possiamo
rinunciare a questo altissimo obiettivo.

191. Mentre vediamo che ogni genere di intolleranza fondamentalista danneggia le relazioni tra
persone, gruppi e popoli, impegniamoci a vivere e insegnare il valore del rispetto, l’amore capace di
accogliere ogni differenza, la priorità della dignità di ogni essere umano rispetto a qualunque sua idea,
sentimento, prassi e persino ai suoi peccati. Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le
logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché
risuonino le diverse voci. È vero che le differenze generano conflitti, ma l’uniformità genera asfissia
e fa sì che ci fagocitiamo culturalmente. Non rassegniamoci a vivere chiusi in un frammento di realtà.

192. In tale contesto, desidero ricordare che, insieme con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb,
abbiamo chiesto «agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi
seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire,
quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente».189 E quando una
determinata politica semina l’odio e la paura verso altre nazioni in nome del bene del proprio Paese,
bisogna preoccuparsi, reagire in tempo e correggere immediatamente la rotta.

Più fecondità che risultati

193. Mentre porta avanti questa attività instancabile, ogni politico è pur sempre un essere umano. È
chiamato a vivere l’amore nelle sue quotidiane relazioni interpersonali. È una persona, e ha bisogno
di accorgersi che «il mondo moderno, con la sua stessa perfezione tecnica, tende a razionalizzare
sempre di più la soddisfazione dei desideri umani, classificati e suddivisi tra diversi servizi. Sempre
meno si chiama un uomo col suo nome proprio, sempre meno si tratterà come persona questo essere
unico al mondo, che ha il suo cuore, le sue sofferenze, i suoi problemi, le sue gioie e la sua famiglia.
Si conosceranno soltanto le sue malattie per curarle, la sua mancanza di denaro per fornirglielo, il suo
bisogno di casa per dargli un alloggio, il suo desiderio di svago e di distrazioni per organizzarli».
Però, «amare il più insignificante degli esseri umani come un fratello, come se al mondo non ci fosse
altri che lui, non è perdere tempo».

194. Anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza. «Cos’è la tenerezza? È l’amore che si
fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani.
[…] La tenerezza è la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti».191 In
mezzo all’attività politica, «i più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono intenerirci: hanno “diritto”
di prenderci l’anima e il cuore. Sì, essi sono nostri fratelli e come tali dobbiamo amarli e trattarli».

195. Questo ci aiuta a riconoscere che non sempre si tratta di ottenere grandi risultati, che a volte non
sono possibili. Nell’attività politica bisogna ricordare che «al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è
immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una
sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello
essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si
riempie di volti e di nomi!».193 I grandi obiettivi sognati nelle strategie si raggiungono parzialmente.
Al di là di questo, chi ama e ha smesso di intendere la politica come una mera ricerca di potere, «ha
la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna
delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va
perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola
attraverso il mondo come una forza di vita».

196. D’altra parte, è grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da
altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina. La buona politica unisce
all’amore la speranza, la fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente, malgrado
tutto. Perciò, «la vita politica autentica, che si fonda sul diritto e su un dialogo leale tra i soggetti, si
rinnova con la convinzione che ogni donna, ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una
promessa che può sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali».195
197. Vista in questo modo, la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di
maquillage mediatico. Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo
desolante incapace di appellarsi a un progetto comune. Pensando al futuro, in certi giorni le domande
devono essere: “A che scopo? Verso dove sto puntando realmente?”. Perché, dopo alcuni anni,
riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno
votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande, forse dolorose, saranno:
“Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho
lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato?

Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”.

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