COME FARE ESPERIENZA DI DIO NEL QUOTIDIANO





In questo nostro tempo gli uomini sono alla ricerca di una spiritualità che li aiuti a vivere la quotidianità. A tal fine ritengo sia importante porsi tre domande:
- da quale sorgente attingo la mia forza?
- come posso vivere, concretamente, la spiritualità nella quotidianità?
- come posso fare esperienza di Dio nel mio quotidiano?
È mia convinzione che l'ultima domanda sia quella decisiva. Ma procediamo con ordine, partendo dal dato iniziale: le persone sono alla ricerca di esperienze spirituali. Cerchiamo quindi di fornire delle risposte, partendo dalla prima domanda: da quali sorgenti attingo la mia forza? Spiritualità deriva da spiritus – soffio, alito d'aria, concetto impalpabile come appunto è lo spirito – e per il cristiano spiritualità significa vivere della sorgente dello Spirito Santo.
Per molti questo suona come un concetto astratto. Tuttavia, il modo di percepire se stessi nel quotidiano dipende dalla sorgente alla quale attingiamo. La fonte dello Spirito Santo è una fonte limpida, inestinguibile poiché divina. Spesso, nel nostro vivere quotidiano, attingiamo da fonti torbide. Una fra esse è rappresentata dalla pressione. L'essere sotto pressione, in vari modi.
Alcuni sono sotto pressione per dimostrare chissà cosa a qualcun altro; altri perché posseduti dal perfezionismo; altri ancora perché in tutte le azioni che compiono devono in qualche modo attribuirsi un voto ed un giudizio. Personalmente vedo molte persone continuamente sotto pressione, e per questo spossate. Esse attingono da fonti torbide: le torbide fonti del perfezionismo e dell'autovalorizzarsi o del dimostrare il proprio valore a qualcuno. Ci si nasconde dietro la scusa del lavoro – che non di rado causa aggressività – per evitare le critiche.
Eleviamo, in definitiva, queste fonti torbide a modelli di vita. Modelli di vita che abbiamo appreso sin dall‟infanzia. Una signora aveva come modello di vita il pensare-sperare, non certo salutare: “speriamo che non si arrivi ad un diverbio, speriamo di riuscire a fare tutto quello che mi verrà richiesto, speriamo, speriamo…”. Questa non è speranza. Se svolgerò il mio lavoro, le mie attività con un simile approccio, ogni conflitto prosciugherà tutte le mie energie.
Un altro esempio, sempre tratto dalla quotidianità: ho conosciuto un'insegnante letteralmente esaurita perché aveva come modello di riferimento il dover dimostrare al padre – in qualità di sorella minore – che era in grado di fare – e quindi di essere – ciò che le due sorelle maggiori facevano. Di fronte a queste torbide fonti dovremmo scoprire in noi la sorgente dello Spirito Santo. Scoprire? Ma essa già scorre in noi!
Con il battesimo siamo stati aspersi, a dimostrazione che non ci prosciugheremo mai perché lo Spirito Santo scorrerà per sempre dentro di noi. Tuttavia, spesso siamo separati da questa fonte, non la percepiamo. In questo caso è di aiuto, nel bel mezzo della giornata, ricordarci che in noi non dimora unicamente la nostra forza, ma piuttosto la sorgente dello Spirito Santo. Se attingeremo da essa, questa produrrà cinque effetti:
1- la sorgente rinfresca. Essa mi dona nuova forza e nuove idee. La sorgente dello Spirito Santo mi libera dalla pressione di dover formulare, sempre e comunque, nuovi pensieri e di dover essere, sempre e comunque, creativo. In me vi è la fonte dell'intuizione. Essa mi dice ciò che ora, in questo momento, è giusto per me.
2- la sorgente guarisce. Sana le mie cicatrici, ferite, relazioni. In ognuno di noi vi è una sorgente che guarisce. Anziché concentrarci sulle nostre ferite, dovremmo relazionarci con la fonte guaritrice che è in noi e lasciar scorrere consapevolmente lo Spirito Santo attraverso le nostre cicatrici e le nostre ferite.
3- la sorgente dà forza. Infonde nuova forza al mio cammino. Mi libera dal sovraccarico, solleva la mia vita da ciò che è più faticoso. La vita diventa più leggera perché in me sarà presente un'altra forza.
4- la sorgente è feconda. Là dove scorre la sorgente feconda fiorisce qualcosa intorno a me. Molte sono le persone che lavorano tanto, ma dal loro lavoro cosa ne ricavano? Alcuni crollano nel momento in cui non lavorano più. Ma chi vive il quotidiano con tutti i suoi problemi attingendo dalla vera sorgente interiore è in grado di far fiorire qualcosa di buono attorno a sé. Questa sorgente porta un frutto duraturo.
5- la sorgente purifica. Essa purifica le emozioni e i turbamenti interiori. Spesso le nostre emozioni vengono offuscate dalle emozioni negative degli altri. Ci lasciamo condizionare e contagiare dall'insoddisfazione altrui. Allora esterniamo le nostre emozioni, contribuendo all'inquinamento emozionale dell'ambiente. In questo caso è opportuno purificare le emozioni, cercando di operare la quiete dentro di noi. La quiete ci purifica.
San Paolo descrive nove frutti dello Spirito Santo: “il frutto dello Spirito […] è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Questi nove frutti si possono anche interpretare come concrete fonti dello Spirito Santo. Vi siete mai accorti che se lavoriamo con gioia e amore ci affatichiamo meno? La pace è una fonte importante. Molte persone consumano una quantità smisurata di energia perché tentano di soffocare ciò di cui non si vogliono rendere conto. L'energia che sprecano per soffocare gli aspetti che non sopportano di se stessi viene poi a mancare nel loro lavoro.
La benevolenza, ovvero l'animo accogliente verso gli altri, mi consentirà di avere un cuore aperto verso il prossimo. Chi ha una mentalità meschina consuma troppe energie in quanto si agita, si inquieta, si inalbera ogni volta che qualcosa o qualcuno non corrisponde ai suoi standard e, generalmente, persevera in questo suo atteggiamento negativo. La sorgente dello Spirito Santo si mostra anche nelle fonti umane che Dio ha dato a ognuno di noi. Riscopriamo queste fonti quando andiamo alla nostra infanzia, quando eravamo in grado di giocare ed impegnarci in varie attività per ore ed ore, senza stancarci.
Vi era chi, giocando, si costruiva un mondo tutto suo. Questo mondo, per lui, rappresentava la sua fonte. Fonte che per alcuni si manifesta nuovamente in età adulta. Faccio un esempio: per un Preside la fonte dalla quale attingeva era il costruire un suo mondo con i suoi colleghi ed alunni. Per un'altra persona la fonte stava nel piacere della natura ed ancor oggi, quando si immerge nella natura, entra nuovamente in contatto con la fonte che lo rigenera. Quando scopriamo il nostro vero essere – noi stessi – allora entriamo in contatto con la fonte interiore che è, appunto, in noi.
La filosofia degli stoici ha considerato il sé, definito autos, come il luogo sacro dell'uomo, il nocciolo più interno, che è l'essenza più vera che definisce l'uomo. La mistica cristiana ha ripreso queste idee stoiche e le ha sviluppate. Da un lato vi è l'idea che siamo completamente noi stessi. Spiritualità non significa esaudire – tramite la pratica della spiritualità – chissà quali aspettative ed adeguarsi in continuazione a ciò che dall'esterno ci si aspetta da noi. Provate a sperimentare questo: ripetete in ogni occasione – a colazione, al lavoro, con gli altri – “io sono me stesso”.
Scoprirete che spesso interpretate un ruolo ed agite secondo le aspettative altrui. Nel momento in cui sarete voi stessi sarete in grado di percepire dentro di voi una libertà interiore mai sperimentata. Voi non dovete mettervi alla prova. Voi potete semplicemente essere, essere ciò che siete. Questo vi libererà da ogni pressione, sia interna che esterna. Voi, semplicemente voi stessi. Voi vivete a partire dal vostro centro. Voi vivete l'autos. Voi siete autentici.
Veniamo ora al tema dei rituali in forma di spiritualità quotidiana. Cosa sono? Ogni spiritualità necessita di forme esteriori, altrimenti si esaurisce. Una forma quotidiana che ogni persona laica può praticare sono i rituali personali. Essi rappresentano i luoghi in cui possiamo entrare in contatto con noi stessi e con la nostra sorgente interiore. Sono salutari interruzioni della routine quotidiana in cui Dio può irrompere nella nostra vita. I rituali creano un momento sacro e mi portano a contatto con me stesso.
Desiderando iniziare la mia giornata con una meditazione, con un gesto o con una preghiera, ho l'impressione che io vivo anziché essere vissuto. I rituali mi mettono in contatto con il mio essere più intimo e profondo. Essi creano un momento sacro – ossia ciò che è nascosto al mondo – che appartiene solo a me e di cui nessuno, da fuori, può disporre. Nel momento sacro – che il rituale mi regala ogni giorno – posso respirare. Nessuno può comandarmi. Sono libero. Per gli antichi greci solo il sacro poteva curare. Per questo i rituali sono sempre un nostro momento sacro. Inoltre, i rituali chiudono una porta e ne aprono un'altra.
Molte persone, la sera, non chiudono le porte del proprio lavoro. Arrivano a casa, ma con la testa sono ancora al lavoro. Conseguentemente, non sono ricettive nei confronti della famiglia. È come se rimanessero in una sorta di corrente d’aria, con una porta aperta sul lavoro e l'altra sulla famiglia. Questo non fa bene all'anima. Dobbiamo chiudere le porte del lavoro per poterci dedicare alla vita che ci attende a casa. In questo modo potremo fare esperienza della famiglia in qualità di luogo di libertà, protezione, vicinanza e incontro. La famiglia non sarà quindi un'ulteriore peso da sommare a quello del lavoro.
Anzi, questo rituale ci spalancherà la porta su un momento di libertà in cui potremo essere veramente noi stessi. E questo sì che fa bene alla nostra anima. Ma dai rituali possiamo cogliere un ulteriore significato: essi aprono il cielo sulla nostra vita. Ci ricordano – nel mezzo della quotidianità – che Dio è l'unica, importante realtà della nostra esistenza. Ci aprono il cuore a ciò che è fondamentale, ovvero che siamo al servizio di Dio e che la nostra vita è nelle mani di Dio. I rituali sono l'intima rassicurazione che la nostra vita riuscirà, che Dio cammina con noi e che noi siamo sotto la sua benedizione.
Molti rituali sono rituali di benedizione. Un bel rituale – porto un esempio – è il seguente: al mattino alzo le mani per benedire. Lascio fluire la benedizione attraverso le mie mani verso i miei figli, verso le persone alle quali sono legato, verso i miei colleghi e la gente che incontro ogni giorno. Mi immagino che tutti vengano abbracciati dalla benedizione di Dio. Lascio quindi fluire la benedizione anche nei luoghi in cui vivo, sulla mia casa, sul posto di lavoro. In questo modo incontrerò, lungo la giornata, persone toccate dalla benedizione, entrerò in luoghi che saranno stati benedetti.
Gesù dice: “amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.” (Lc 6, 27-28) Se benedico le persone con le quali ho avuto uno screzio, un conflitto, le incontrerò in modo più libero. La benedizione non aiuta soltanto gli altri: aiuta me stesso. La benedizione mi libera soprattutto dalla pressione di dover fare tutto in maniera precisa, impeccabile. Non dipenderà solo da me se ciò che decido e faccio condurrà ad un successo, ma, alla fine, dipenderà dalla benedizione di Dio.
I rituali – questo aspetto è ricco di calore – fanno casa, fanno luogo natio, fanno nido. Essi mi permettono – nel mezzo della frenesia indotta dalla quotidianità – di giungere al cuore di me stesso e a Dio. In Germania diciamo che si è a casa solo là dove abita il mistero. I rituali mostrano alla mia persona che in me abita Dio, il mistero di Dio. Quindi presso di me posso essere a casa. Ma i rituali danno anche un altro significato al concetto di casa. In questo nostro tempo contrassegnato dalla perdita di radici, i rituali mi permettono di entrare in contatto con le mie radici interiori.
Spesso io metto in pratica i rituali che hanno esercitato i miei genitori, i miei nonni e bisnonni. Le mie radici, appunto. Radici che affondano nei gesti rituali di benedizione di tutti i giorni, sino ad arrivare alle feste sante, al Natale, alla Pasqua. Facendo così, tenendo memoria – memoria viva – delle miei radici, partecipo al patrimonio di fede avuto in eredità e alla forza vitale che da esso scaturisce. Oggigiorno le persone si ammalano perché non hanno più radici.
Daniel Hell, uno psichiatra svizzero, ritiene che la depressione che oggi diventa sempre più imperante sia un grido di aiuto dell‟anima nei confronti della perdita di radici da parte della nostra vita. Attraverso i rituali entriamo in contatto con le radici interiori e con la sorgente dello Spirito Santo che zampilla in noi e che non si esaurisce. In questo modo la nostra vita può portare frutto in quanto vita ricca di Dio. E quali vie possiamo trovare per fare esperienza di Dio nel quotidiano?
I laici di oggi non si accontentano di ascoltare la dottrina della Chiesa o di riflettere su Dio. Essi vogliono fare esperienza di Dio. Vogliono fare esperienze spirituali. Nell'esperienza spirituale non si tratta unicamente di sperimentare qualcosa di particolare di Dio, ma di fare anche, e sempre, una scoperta di se stessi. Fare esperienza di se stessi e fare esperienza di Dio procedono di pari passo. Quindi il mondo verso Dio passa sempre attraverso un sincero confronto con se stessi. La via spirituale verso la verità di me stesso, tuttavia, è diversa dalla via psicologica. Io osservo tutto quanto è in me, ma non lo analizzo.
Piuttosto lo porgo a Dio affinché la luce di Dio possa penetrare attraverso la mia anima e giungere sino al fondo. Dio non è il mago che fa scomparire i miei problemi, le mie paure, le mie sicurezze, la mia depressione. La guarigione sta nell'incontro con Dio. Davanti a Dio posso parlare con la mia paura, con la mia insicurezza e con la mia depressione. Sarà allora che questi miei sentimenti e criticità di cui vorrei liberarmi mi condurranno non solo dentro alla mia verità, al mio vero essere, ma, in ultimo, anche dentro a Dio. Le persone non vogliono solo sentir parlare di Dio, ma vogliono anche fare esperienza di Dio.
La domanda è: come posso incontrare Dio e fare esperienza di lui? Come posso avere accesso a Dio? Attraverso la tradizione spirituale ci vengono descritte diverse possibilità di accesso. Una è la via tramite la contemplazione. Per gli antichi greci la contemplazione era la via più importante verso Dio. La parola greca theos – Dio – deriva dal verbo theastai, che significa guardare come spettatore, contemplare. I greci sapevano che non possiamo osservare Dio in maniera diretta, ma che possiamo vedere le tracce di Dio. Noi contempliamo la bellezza di Dio nel creato, contempliamo il mistero dell‟amore di Dio in un volto umano.
La mistica dei greci era una mistica della contemplazione. Per questa ragione per loro la liturgia era una rappresentazione sacra ed è anche per questo che noi oggi contempliamo il mistero di Gesù Cristo nei rituali della liturgia. Lo contempliamo nella trasformazione del pane e del vino, nelle immagini sacre delle icone. È tuttavia un osservare in maniera spirituale, un contemplare, diventando un tutt'uno con colui che è contemplato. La seconda via passa attraverso l'ascolto. Per i romani e per gli ebrei l‟udito era il più importante dei sensi. È un senso legato alle emozioni: non sento e ascolto soltanto le parole, ma gli uomini, la persona.
La parola persona deriva da personare, cioè suonare attraverso. Quando un uomo parla, io riconosco la sua persona. Quando Dio parla, io riconosco il suo tu con cui si rivolge a me. Dio, per gli ebrei, ed in seguito per i cristiani – questo è ciò che ci ha trasmesso l‟ebreo Paolo – è un Dio che ci parla e che si rivolge a noi in modo personale. Proprio per questo i primi monaci praticarono la meditazione intesa soprattutto come lectio divina delle Sacre Scritture: non leggo solo la parola di Dio, ma la lascio penetrare nel mio cuore. La parola di Dio deve essere gustata.
Tuttavia, non penso alla parola di Dio in sé, in quanto – riflettendoci – pongo una distanza nei confronti della Parola stessa. Si tratta invece di scoprire nella parola di Dio il cuore di Dio. Così diceva papa Gregorio Magno: “ed io dovrò far cadere nel mio cuore la parola di Dio, in modo tale da poterla sentire, toccare e assaporare.” Se questo è vero – ed è vero – cosa provo di fronte al Salmo 23, in cui si dice: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”? La parola di Dio è rivolta a me ed essa mi dice chi sono.
La domanda di fondo della filosofia è la seguente: quale è la vera realtà? La fenomenologia distingue tra l'essere esistente e l'essere reale, cioè la realtà. L'albero esiste. Esso diventa però reale solo quando lo guardo, quando con le parole descrivo il suo mistero. Troppe volte ci percepiamo in base alle parole che abbiamo sentito dire da altri sul nostro conto o che noi stessi ci diciamo. Ad esempio: “io non sono a posto, tu sei impossibile, nessuno ti può sopportare.” Queste parole riducono la nostra autostima. Esse coprono, nascondono la nostra vera identità. Meditare la parola di Dio significa quindi trovare la nostra vera identità.
Romano Guardini afferma che Dio comunica ad ogni uomo una password, che è solo di quella persona. Il nostro compito è quello di rendere questa parola – che per noi è unica e che Dio ha comunicato solo a noi e che parla di noi – percepibile e comprensibile in questo mondo. In questo modo vivrò la mia vera identità. La terza via conduce all'interiorità. Per fare esperienza di Dio la terza via porta verso l'interno: mi metto in ascolto dentro di me. In cosa mi imbatto quando mi ascolto? Inciampo solo nei miei pensieri, nei miei sentimenti, nella mia storia personale?
Sulla scia di Sant'Agostino e dei mistici del medioevo credo che, se mi pongo in ascolto dentro al mio cuore, alla fine mi imbatterò in Dio. Sotto la soglia dei miei sentimenti e dei miei pensieri vi è un luogo della quiete. I mistici parlano di fondo dell’anima. Là sul fondo della mia anima abita Dio. Oppure, come lo definisce Gesù: “Il Regno di Dio è in mezzo a noi” (Lc 17, 21). Posso descrivere in diversi modi questo luogo interiore.
Giovanni Tauler parla di fondo dell’anima, Caterina da Siena di cella interiore, Teresa d'Avila parla della stanza più remota del castello dell’anima. La filosofia stoica parla di autos, di santuario interiore dell‟uomo, di luogo sacro che è dentro ad ogni uomo. In ogni uomo vi è un luogo del silenzio, all'interno del quale i pensieri, i sentimenti non hanno accesso, all'interno del quale non entrano soprattutto le aspettative e le pretese degli uomini, insieme alle loro sentenze e ai loro giudizi. Là, in quel luogo, io sono tutto me stesso. Là le mie paure e le mie preoccupazioni non possono entrare. Là nessuno mi può ferire. Là vive Dio in me.
E dove vive Dio in me e dove lui regna, io sono libero dal potere delle persone. Per i primi monaci lo scopo della preghiera era quello di spingersi sino al luogo interiore della quiete in cui abita Dio. Biblicamente parlando è il luogo in cui il regno di Dio è in noi. E là, dove il regno di Dio è in noi, facciamo esperienza di noi stessi in un modo nuovo. Diversi sono i modi per fare esperienza di noi in quel luogo. In tale luogo siamo liberi dal potere delle persone, dai loro giudizi e pregiudizi, dalle loro aspettative e pretese. Siamo liberi e completi. Nel luogo interiore gli altri non possono raggiungerci per ferirci.
Le parole che ci offendono riguardano solo il piano emozionale. Ma al fondo dell'anima non possono arrivare. Là il nostro nocciolo più profondo è intatto e completo. Là siamo sani, nonostante tutti i nostri difetti psichici. E là, dove il regno di Dio è in noi, siamo autentici. In questo luogo veniamo in contatto con il nostro vero essere. Là scopriamo l'immagine originaria che Dio si è fatto di noi.
E tutte le immagini che gli altri ci hanno applicato addosso e tutte quelle che noi stessi abbiamo sovrapposto alla nostra vera immagine – le immagini della nostra ambizione, delle nostre fantasie di grandezza e della nostra disistima – si dissolvono. Rimanendo ancora sui modi per praticare l'esperienza di noi nel luogo interiore soffermiamoci su come percepiamo noi stessi là dove Dio regna in noi, in modo puro e chiaro. Il nucleo più profondo non è infettato dal peccato. In quel luogo non hanno accesso i sensi di colpa e le autoaccuse. Ed infine, l'ultimo modo: in quel luogo dove alberga il mistero di Dio in noi, là siamo a casa.
Là siamo completamente presso di noi. Là giungiamo alla pace. In quel luogo, nel mezzo ed in mezzo alle quotidiane turbolenze, possiamo trovare riposo. Forse tutto ciò appare lontano dalle esperienze di tutti i giorni. Ma se vi ricorderete, durante il lavoro ed i quotidiani conflitti, che dentro di voi vi è questo luogo della quiete, allora vi percepirete – all'istante – in maniera diversa. I problemi si relativizzeranno. Avrete la sensazione che, nonostante la disponibilità del farsi carico delle persone e dei problemi, vi sarà sempre un luogo dentro di voi in cui il mondo non potrà entrare.
Questa è per me, per ognuno di noi, un'esperienza che guarisce e libera. Non mi sento più soffocato dalle aspettative degli uomini e dai conflitti che dovrei risolvere. In mezzo alla quotidianità posso respirare a pieni polmoni e sentirmi libero. Per questo – dal mio punto di vista – la via mistica è una via importante per la spiritualità del laico d'oggi. E per tutto ciò non vi è bisogno di un sacerdote. Ognuno di noi ha in sé questo luogo di quiete.
Ed in ogni momento possiamo entrare in contatto con questo nucleo interiore. Attraverso la meditazione posso giungere al fondo dell'anima. A volte, però, basta semplicemente ricordarsi ed immaginarsi che in me vi è un luogo interiore della quiete: il mio giorno ne verrà trasformato. Concludo dicendo che questi sono alcuni aspetti importanti per la spiritualità del laico d'oggi, ma ognuno troverà nella sua vita ulteriori aspetti. Reputo tuttavia questi tre campi decisivi:
- vivere la spiritualità nel quotidiano significa vivere attingendo dalla fonte interiore, cioè dalla sorgente dello Spirito Santo, anziché dalle torbide fonti che si esauriscono;
- la spiritualità ha bisogno di forme concrete: deve essere una spiritualità con i piedi per terra che trasforma il quotidiano; la via concreta passa attraverso i rituali. Ognuno di noi ha rituali personali: c‟è quello che medita, l‟altro che legge le Sacre Scritture, l'altro ancora sta in silenzio o fa un segno oppure evoca il ricordo del luogo interiore della quiete ogni volta che sente il suono delle campane;
- per il laico la terza via della spiritualità è la via mistica. Che non è una via al di fuori del mondo, ma significa piuttosto essere tutt'uno con noi stessi ed entrare in contatto con il luogo interiore della quiete, con quel luogo sacro nel quale noi siamo già intatti, autentici e liberi. Grazie a tutti.

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