Capitolo terzo – Pensare e generare un mondo aperto
87. Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la
propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». E ugualmente non giunge a riconoscere
a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: «Non comunico effettivamente con me
stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro». Questo spiega perché nessuno può
sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica
esistenza umana, perché «la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più
forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c’è vita
dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti
prevale la morte».
Al di là
88. Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona
da sé stessa verso l’altro.65 Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge di
“estasi”: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere».66 Perciò «in ogni caso
l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso».67
89. D’altra parte, non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla
mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni: non solo
quello attuale ma anche quello che mi precede e che è andato configurandomi nel corso della mia
vita. La mia relazione con una persona che stimo non può ignorare che quella persona non vive solo
per la sua relazione con me, né io vivo soltanto rapportandomi con lei. La nostra relazione, se è sana
e autentica, ci apre agli altri che ci fanno crescere e ci arricchiscono. Il più nobile senso sociale oggi
facilmente rimane annullato dietro intimismi egoistici con l’apparenza di relazioni intense. Invece,
l’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si
lasciano completare. Il legame di coppia e di amicizia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a
renderci capaci di uscire da noi stessi fino ad accogliere tutti. I gruppi chiusi e le coppie
autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi” contrapposto al mondo intero, di solito sono
forme idealizzate di egoismo e di mera autoprotezione.
90. Non è un caso che molte piccole popolazioni sopravvissute in zone desertiche abbiano sviluppato
una generosa capacità di accoglienza nei confronti dei pellegrini di passaggio, dando così un segno
esemplare del sacro dovere dell’ospitalità. Lo hanno vissuto anche le comunità monastiche medievali,
come si riscontra nella Regola di San Benedetto. Benché potesse disturbare l’ordine e il silenzio dei
monasteri, Benedetto esigeva che i poveri e i pellegrini fossero trattati «con tutto il riguardo e la
premura possibili».68 L’ospitalità è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono
che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. Quelle persone riconoscevano che tutti i
valori che potevano coltivare dovevano essere accompagnati da questa capacità di trascendersi in
un’apertura agli altri.
Il valore unico dell’amore
91. Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza,
sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali,
bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso
altre persone. Tale dinamismo è la carità che Dio infonde. Altrimenti, avremo forse solo un’apparenza
di virtù, e queste saranno incapaci di costruire la vita in comune. Perciò San Tommaso d’Aquino –
citando Sant’Agostino – diceva che la temperanza di una persona avara non è neppure virtuosa.69 San
Bonaventura, con altre parole, spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i
comandamenti «come Dio li intende».
92. La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è «il criterio
per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana».71 Tuttavia, ci sono credenti
che pensano che la loro grandezza consista nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa
violenta della verità, o in grandi dimostrazioni di forza. Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere
questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più
grande è non amare (cfr 1 Cor 13,1-13).
93. Cercando di precisare in che cosa consista l’esperienza di amare, che Dio rende possibile con la
sua grazia, San Tommaso d’Aquino la spiegava come un movimento che pone l’attenzione sull’altro
«considerandolo come un’unica cosa con sé stesso».72 L’attenzione affettiva che si presta all’altro
provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene. Tutto ciò parte da una stima, da un
apprezzamento, che in definitiva è quello che sta dietro la parola “carità”: l’essere amato è per me
“caro”, vale a dire che lo considero di grande valore. E «dall’amore per cui a uno è gradita una data
persona derivano le gratificazioni verso di essa».
94. L’amore implica dunque qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da
un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di
là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio
per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale
che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti.
La progressiva apertura dell’amore
95. L’amore, infine, ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la
propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura,
maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie
verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
96. Questo bisogno di andare oltre i propri limiti vale anche per le varie regioni e i vari Paesi. Di fatto,
«il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta
rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le
Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle
culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si
accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri».75
Società aperte che integrano tutti
97. Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia. C’è
anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico ma esistenziale. È la
capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte
del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente,
abbandonato o ignorato dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso
Paese. Può essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno sentire come uno straniero
nella propria terra. Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è
sempre in agguato.
98. Voglio ricordare quegli “esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società.76
Tante persone con disabilità «sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare». Ci sono
ancora molte cose «che [impediscono] loro una cittadinanza piena». L’obiettivo è non solo assisterli,
ma la loro «partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente e anche
faticoso, che contribuirà sempre più a formare coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona
unica e irripetibile». Ugualmente penso alle persone anziane «che, anche a motivo della disabilità,
sono sentite a volte come un peso». Tuttavia, tutti possono dare «un singolare apporto al bene comune
attraverso la propria originale biografia». Mi permetto di insistere: bisogna «avere il coraggio di dare
voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità, perché purtroppo in alcune Nazioni,
ancora oggi, si stenta a riconoscerli come persone di pari dignità».
Comprensioni inadeguate di un amore universale
99. L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale”
in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è
condizione di possibilità di una vera apertura universale. Non si tratta del falso universalismo di chi
ha bisogno di viaggiare continuamente perché non sopporta e non ama il proprio popolo. Chi guarda
il suo popolo con disprezzo, stabilisce nella propria società categorie di prima e di seconda classe, di
persone con più o meno dignità e diritti. In tal modo nega che ci sia spazio per tutti.
100. Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e
presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un
modello di globalizzazione che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di
eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una
globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo».78 Questo falso sogno universalistico
finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua
umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile
guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la
nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere
tutti uguali!».79
Andare oltre un mondo di socia
101. Riprendiamo ora la parabola del buon samaritano, che ha ancora molto da proporci. C’era un
uomo ferito sulla strada. I personaggi che passavano accanto a lui non si concentravano sulla chiamata
interiore a farsi vicini, ma sulla loro funzione, sulla posizione sociale che occupavano, su una
professione di prestigio nella società. Si sentivano importanti per la società di quel tempo e ciò che
premeva loro era il ruolo che dovevano svolgere. L’uomo ferito e abbandonato lungo la strada era un
disturbo per questo progetto, un’interruzione, e da parte sua era uno che non rivestiva alcuna funzione.
Era un “nessuno”, non apparteneva a un gruppo degno di considerazione, non aveva alcun ruolo nella
costruzione della storia. Nel frattempo, il samaritano generoso resisteva a queste classificazioni
chiuse, anche se lui stesso restava fuori da tutte queste categorie ed era semplicemente un estraneo
senza un proprio posto nella società. Così, libero da ogni titolo e struttura, è stato capace di
interrompere il suo viaggio, di cambiare i suoi programmi, di essere disponibile ad aprirsi alla
sorpresa dell’uomo ferito che aveva bisogno di lui.
102. Quale reazione potrebbe suscitare oggi questa narrazione, in un mondo dove compaiono
continuamente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri?
Come può commuovere quelli che tendono a organizzarsi in modo tale da impedire ogni presenza
estranea che possa turbare questa identità e questa organizzazione autodifensiva e autoreferenziale?
In questo schema rimane esclusa la possibilità di farsi prossimo, ed è possibile essere prossimo solo
di chi permetta di consolidare i vantaggi personali. Così la parola “prossimo” perde ogni significato,
e acquista senso solamente la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi.80
Libertà, uguaglianza e fraternità
103. La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno
di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa
ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e
all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà
politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità
e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto
una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per
possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto
all’amore.
104. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”,
bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono
capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. Che senso può avere in questo schema la persona che non appartiene alla cerchia dei soci e arriva sognando una vita migliore per sé e per la sua
famiglia?
105. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi
individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci
da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da
sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni,
come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune.
Amore universale che promuove le persone
106. C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale
e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona,
sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che
«il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune
persone vivano con minore dignità».81 Questo è un principio elementare della vita sociale, che viene
abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo
o non serve ai loro fini.
107. Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese
può negare tale diritto fondamentale. Ognuno lo possiede, anche se è poco efficiente, anche se è nato
o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona
umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio
elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza
dell’umanità.
108. Vi sono società che accolgono questo principio parzialmente. Accettano che ci siano opportunità
per tutti, però sostengono che, posto questo, tutto dipende da ciascuno. Secondo tale prospettiva
parziale non avrebbe senso «investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati
possano farsi strada nella vita».82 Investire a favore delle persone fragili può non essere redditizio,
può comportare minore efficienza. Esige uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile
che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici,
perché veramente si orientano prima di tutto alle persone e al bene comune.
109. Alcuni nascono in famiglie di buone condizioni economiche, ricevono una buona educazione,
crescono ben nutriti, o possiedono naturalmente capacità notevoli. Essi sicuramente non avranno
bisogno di uno Stato attivo e chiederanno solo libertà. Ma evidentemente non vale la stessa regola
per una persona disabile, per chi è nato in una casa misera, per chi è cresciuto con un’educazione di
bassa qualità e con scarse possibilità di curare come si deve le proprie malattie. Se la società si regge
primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, non c’è posto per costoro, e la
fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica.
110. Il fatto è che «la semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni
reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro,
diventa un discorso contraddittorio».83 Parole come libertà, democrazia o fraternità si svuotano di
senso. Perché, in realtà, «finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci
sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale». Una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano
accompagnati nel percorso della loro vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché
possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno
lentamente, anche se lo loro efficienza sarà poco rilevante.
111. La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa
radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo «occorre prestare
attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto
di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione
sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione
di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade”
(monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene
più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di
violenze».
Promuovere il bene sociale
112. Non possiamo tralasciare di dire che il desiderio e la ricerca del bene degli altri e di tutta
l’umanità implicano anche di adoperarsi per una maturazione delle persone e delle società nei diversi
valori morali che conducono ad uno sviluppo umano integrale. Nel Nuovo Testamento si menziona
un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22) definito con il termine greco agathosyne. Indica
l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per
gli altri: la loro maturazione, la loro crescita in una vita sana, l’esercizio dei valori e non solo il
benessere materiale. C’è un’espressione latina simile: bene-volentia, cioè l’atteggiamento di volere il
bene dell’altro. È un forte desiderio del bene, un’inclinazione verso tutto ciò che è buono ed
eccellente, che ci spinge a colmare la vita degli altri di cose belle, sublimi, edificanti.
113. In questa linea, torno a rilevare con dolore che «già troppo a lungo siamo stati nel degrado
morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di
riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento
della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi».86
Volgiamoci a promuovere il bene, per noi stessi e per tutta l’umanità, e così cammineremo insieme
verso una crescita genuina e integrale. Ogni società ha bisogno di assicurare la trasmissione dei valori,
perché se questo non succede si trasmettono l’egoismo, la violenza, la corruzione nelle sue varie
forme, l’indifferenza e, in definitiva, una vita chiusa ad ogni trascendenza e trincerata negli interessi
individuali.
Il valore della solidarietà
114. Desidero mettere in risalto la solidarietà, che «come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto
della conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno
responsabilità di carattere educativo e formativo. Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate a
una missione educativa primaria e imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono
e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione,
dell’attenzione e della cura dell’altro. Esse sono anche l’ambito privilegiato per la trasmissione della
fede, cominciando da quei primi semplici gesti di devozione che le madri insegnano ai figli. Per
quanto riguarda gli educatori e i formatori che, nella scuola o nei diversi centri di aggregazione
infantile e giovanile, hanno l’impegnativo compito di educare i bambini e i giovani, sono chiamati ad essere consapevoli che la loro responsabilità riguarda le dimensioni morale, spirituale e sociale della
persona. I valori della libertà, del rispetto reciproco e della solidarietà possono essere trasmessi fin
dalla più tenera età. […] Anche gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale hanno
responsabilità nel campo dell’educazione e della formazione, specialmente nelle società
contemporanee, in cui l’accesso a strumenti di informazione e di comunicazione è sempre più
diffuso».
115. In questi momenti, nei quali tutto sembra dissolversi e perdere consistenza, ci fa bene appellarci
alla solidità88 che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune.
La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo
di farsi carico degli altri. Il servizio è «in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere
cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo». In questo
impegno ognuno è capace di «mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di
onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili. […] Il servizio guarda sempre il volto del
fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la
promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve
idee, ma persone».
116. Gli ultimi in generale «praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono,
tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di
dimenticare. Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo
trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni
atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà,
la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e
lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel
suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari».
117. Quando parliamo di avere cura della casa comune che è il pianeta, ci appelliamo a quel minimo
di coscienza universale e di preoccupazione per la cura reciproca che ancora può rimanere nelle
persone. Infatti, se qualcuno possiede acqua in avanzo, e tuttavia la conserva pensando all’umanità,
è perché ha raggiunto un livello morale che gli permette di andare oltre sé stesso e il proprio gruppo
di appartenenza. Ciò è meravigliosamente umano! Questo stesso atteggiamento è quello che si
richiede per riconoscere i diritti di ogni essere umano, benché sia nato al di là delle proprie frontiere.
Riproporre la funzione sociale della proprietà
118. Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa
dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre
non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti.
Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia
opportunità adeguate al suo sviluppo integrale.
119. Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella
loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati.91 Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno
non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando. Lo riassume San
Giovanni Crisostomo dicendo che «non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è
privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro».92 Come pure queste parole
di San Gregorio Magno: «Quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba
nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene».
120. Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non
è stata forse compresa: «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi
membri, senza escludere né privilegiare nessuno».94 In questa linea ricordo che «la tradizione
cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha
messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata».95 Il principio dell’uso
comune dei beni creati per tutti è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale»,96 è un
diritto naturale, originario e prioritario.97 Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione
integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, «non devono quindi
intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione», come affermava San Paolo VI.98 Il diritto
alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal
principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che
devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari
si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica.
Diritti senza frontiere
121. Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei
privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le frontiere
degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è inaccettabile che una persona
abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di
residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo.
122. Lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare
«i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli».99
Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e
della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché «chi ne possiede una
parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti».
123. L’attività degli imprenditori effettivamente «è una nobile vocazione orientata a produrre
ricchezza e a migliorare il mondo per tutti».101 Dio ci promuove, si aspetta da noi che sviluppiamo le
capacità che ci ha dato e ha riempito l’universo di potenzialità. Nei suoi disegni ogni persona è chiamata a promuovere il proprio sviluppo,102 e questo comprende l’attuazione delle capacità
economiche e tecnologiche per far crescere i beni e aumentare la ricchezza. Tuttavia, in ogni caso,
queste capacità degli imprenditori, che sono un dono di Dio, dovrebbero essere orientate chiaramente
al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione
di opportunità di lavoro diversificate. Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il prioritario
e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei
beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso.
Diritti dei popoli
124. La certezza della destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata
anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Se lo guardiamo non solo a partire dalla legittimità
della proprietà privata e dei diritti dei cittadini di una determinata nazione, ma anche a partire dal
primo principio della destinazione comune die beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello
straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che
provenga da un altro luogo. Infatti, come hanno insegnato i Vescovi degli Stati Uniti, vi sono diritti
fondamentali che «precedono qualunque società perché derivano dalla dignità conferita ad ogni
persona in quanto creata da Dio».
125. Ciò inoltre presuppone un altro modo di intendere le relazioni e l’interscambio tra i Paesi. Se
ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se
veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del
proprio Paese. Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo, benché possa adempiere
questa responsabilità in diversi modi: accogliendolo generosamente quando ne abbia un bisogno
inderogabile, promuovendolo nella sua stessa terra, non usufruendo né svuotando di risorse naturali
Paesi interi favorendo sistemi corrotti che impediscono lo sviluppo degno dei popoli. Questo, che
vale per le nazioni, si applica alle diverse regioni di ogni Paese, tra le quali si verificano spesso gravi
sperequazioni. Ma l’incapacità di riconoscere l’uguale dignità umana a volte fa sì che le regioni più
sviluppate di certi Paesi aspirino a liberarsi della “zavorra” delle regioni più povere per aumentare
ancora di più il loro livello di consumo.
126. Parliamo di una nuova rete nelle relazioni internazionali, perché non c’è modo di risolvere i
gravi problemi del mondo ragionando solo in termini di aiuto reciproco tra individui o piccoli gruppi.
Ricordiamo che «l’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad
un’etica delle relazioni internazionali».105 E la giustizia esige di riconoscere e rispettare non solo i
diritti individuali, ma anche i diritti sociali e i diritti dei popoli.106 Quanto stiamo affermando implica
che si assicuri il «fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso»,107 che a volte
risulta fortemente ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero. Il pagamento del debito in
molti casi non solo non favorisce lo sviluppo bensì lo limita e lo condiziona fortemente. Benché si
mantenga il principio che ogni debito legittimamente contratto dev’essere saldato, il modo di
adempiere questo dovere, che molti Paesi poveri hanno nei confronti dei Paesi ricchi, non deve portare
a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita.
127. Senza dubbio, si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie
parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal
solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare
ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa
è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti
di minacce esterne. Perché la pace reale e duratura è possibile solo «a partire da un’etica globale di
solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla
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