Lettera
pastorale dell’Arcivescovo Dr. Stefan Heße per la solennità di San Ansgario
(Oscar) il 3 febbraio 2020
Carissime
sorelle e fratelli!
“Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola,
hanno accolto degli angeli senza saperlo.” (Ebrei
13,2) Questo che sembra un detto da calendario a fogli stracciabili, è una delle
virtù più importanti nelle sacre scritture: l’Ospitalità.
Nell’Antico
Testamento, l’incontro tra Abramo e sua moglie Sara con tre stranieri è l’esempio
di ospitalità. Tre uomini stranieri vengono da loro. Abramo li saluta e gli va incontro
in modo sincero e generoso, senza sapere chi ha davanti a sé. Egli offre agli
uomini l’acqua, fa cuocere pane fresco e prepara anche un vitello tenero e
buono. La sua ospitalità è senza secondi fini e piuttosto vivace. E alla fine,
gli ospiti gli lasciano molto di più di quanto lui potesse dare loro. Improvvisamente
cambiano i ruoli: gli ospiti diventano l’anfitrione. Danno ad Abramo e Sara una
prospettiva per il futuro. Annunciano alla coppia senza figli la buona notizia,
che Sara avrà un figlio fra un anno. Così, l’incontro con lo straniero diventa
un grande arricchimento inaspettato della propria vita.
In
latino, tra l’altro, c'è solo una parola per ospiti e padroni di casa: hospes. È un segno che sia l’ospite che
l’ospitante si arricchiscono e si donano a vicenda. Tutti beneficiano dell’ospitalità.
Cari
cristiani!
La scena
del banchetto presso Abramo si può vedere sulla pala dell’altare della nostra
chiesa cattolica di San Michele a Helgoland. Si trova proprio lì dove giorno
per giorno vengono ospitate molte persone. Gli isolani sono i padroni di casa. Ciò
si adatta bene anche alla nostra chiesa: qui siamo tutti ospiti presso Gesù
Cristo e come comunità possiamo testimoniare la nostra ospitalità a molti
visitatori. Con questo intendo non solo la Chiesa a Helgoland, ma tutta la
nostra arcidiocesi. L’ospitalità fa parte del buon stile nella nostra chiesa a
tutti i livelli e in tutti i luoghi. Non dovrebbe essere una cosa ovvia solo nelle
località di villeggiatura, ma ovunque e per tutti. L’ospitalità caratterizza il
nostro stile di vita cristiano in tutto e per tutto.
Quando si
sente la parola ospite, si può
pensare di un ospite dell’hotel e l’altro pensa a una bella serata. L’ospitalità
va più in fondo: la parola greca per l’ospitalità è filoxenia. Deriva da phileo
(essere un amico) e xenos (lo
straniero); con ospitalità si intende amore per lo straniero, è un’amicizia con
il forestiero. In altre parole: ospitalità significa incontrare lo straniero, la
persona nuova, l’antistante con gentilezza e amore, dargli il benvenuto e accoglierlo.
In tempi
in cui non c’era un sistema alberghiero sviluppato, per esempio nel tempo
biblico di Abramo, l’ospitalità era essenziale. Le foresterie erano luoghi sicuri.
Per secoli, i monasteri sono stati luoghi di ospitalità. Negli ultimi anni,
questa importanza di salvavita dell’ospitalità è diventata di grande attualità nel
nostro paese nell’accoglienza di molti rifugiati. Ringrazio espressamente tutti
coloro che nelle nostre parrocchie, e anche nei nostri comuni, si sono
adoperati per questo e che sono stati nel vero senso della parola buoni padroni
di casa. Desidererei non dover ora menzionare la xenofobia, ma purtroppo esiste
anch’essa.
L’ospitalità
è l’atteggiamento interiore della nostra Chiesa, non è un fenomeno marginale. La
rivelazione di Dio in Gesù Cristo non è solo un avviso, bensì un incontro
personale. Pertanto, il contenuto della nostra fede cristiana non può mai astrarsi
dalla sua forma. In questo modo, la nostra fede può e deve mostrarsi nel come
viviamo l’ospitalità. Non è un caso che
Gesù sia stato spesso un ospite presso quelli che lo hanno accolto, il suo
primo segno lo compie come ospite alle nozze di Cana. Sempre invita le persone
a conoscere la sua vita: “Venite e vedete!”
Per me,
ci sono alcuni punti molto concreti, come voi, come noi si possa pensare e
vivere l’ospitalità:
- Siamo tutti ospiti su questa terra. Una delle nostre canzoni funebri più famose inizia con: “Siamo solo ospiti sulla terra”. Risale a uno dei tempi più bui della nostra storia tedesca. Nel periodo del nazionalsocialismo, l’autore ha voluto fare riferimento alla nostra patria definitiva presso Dio. Andiamo incontro al banchetto celeste con Dio e i nostri cari. Con questo, tutto il resto è messo in secondo piano, ma non diventa per nulla insignificante. Questo porta delle conseguenze per il nostro essere qui e ora, per le nostre relazioni con il mondo, il creato e tutta la nostra vita. Ciò ci rende leggeri e distaccati, si! ci rende liberi. C’è anche una conseguenza nel nostro rapporto con la creazione, che ci è stata semplicemente affidata e che dovremmo lasciare ai nostri posteri in modo responsabile. Tutti noi siamo ospiti su questa terra. Comportiamoci per favore come buoni ospiti.
- Cristo ci invita sempre a sé. Possiamo essere suoi ospiti. Accogliamo questo invito divino sempre con coraggio! Egli ci vuole al suo fianco, possiamo ascoltarlo e a convito con lui nel servizio divino. Possiamo restare semplicemente con lui nel silenzio. Al contrario vale anche, che il Signore vuole essere l’ospite nella nostra vita. Per esempio, egli si invita in casa del pubblicano Zaccheo ed è ospite di Marta a Betania: “Oggi devo fermarmi a casa tua!" In questo senso, una famosa preghiera da tavola dice: "Vieni Signore Gesù, sii nostro ospite!”
- Le nostre parrocchie ricevono molti inviti. Possono partecipare a molti eventi, partecipare a progetti e azioni nelle nostre città e nei nostri comuni. Molti gioiscono quando siamo loro ospiti. Ci attendono, e si aspettano qualcosa da noi. Gioiamo del fatto che ci chiedono ti stare con loro. Non si tratta affatto di una questione banale. Sarebbe bello se le nostre comunità potessero rispondere a queste richieste con impegno e consenso.
- Infine: che noi si possa essere dei buoni anfitrioni nelle nostre parrocchie e in tutti i luoghi di vita ecclesiastica. Andiamo incontro ai nostri ospiti, visitatori, ai foresti e sconosciuti. Che noi si possa essere accoglienti con tutto il nostro essere! Salutiamoli cordialmente e lasciamoci avvicinare (cfr. Quadro di orientamento pastorale II., 5). Deve sempre farci riflettere, se vediamo pochi ospiti o non vediamo alcun ospite nelle nostre comunità, se non si sentono i benvenuti. Cambiare questo è prima di tutto una questione di mentalità e dell’atteggiamento del cuore, e cioè del nostro modo di vedere. Spesso l’ospite porta con sé un grosso regalo. Non siamo più solo i loro anfitrioni, ma possiamo essere ospiti nella loro stessa vita.
Cari
sorelle e fratelli, l’ospitalità ha da essere sempre senza secondi fini. Essa
offre all’altro uno spazio nel quale l’altro può entrare e diventare un nostro amico.
Qui succede ciò che il da poco defunto teologo di Münster Johann Baptist Metz
disse: In questo “dobbiamo essere in grado di diminuire, fare un passo in
dietro, affinché l’altro nella sua una unicità
ci possa davvero raggiungere. Dobbiamo essere capaci di farlo entrare, lasciarlo
libero nella sua peculiarità, che spesso ci spaventa e ci chiama ad una
dolorosa trasformazione. Perché il mistero della vita non si rivela a chi sta
nell’autocompiacimento, ma nella reciprocità creativa”. Come chiesa dell’Arcidiocesi
di Amburgo, cerchiamo davvero di essere una chiesa in relazione con Dio e gli
uomini. Viviamo l’invito dell’Epistola agli Ebrei in modo concreto tutti i nostri
giorni: “Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo!”
Dio vi benedica
e tutti coloro con cui siamo uniti nell’ospitalità.
vs.
Arcivescovo +Stefan
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